Incompatibilità ambientale e paesaggistica in ordine a un intervento per la realizzazione e l’esercizio di parchi eolici

Incompatibilità ambientale e paesaggistica in ordine a un intervento per la realizzazione e l’esercizio di parchi eolici

di Teodora Marocco

T.A.R. Molise, Sez. I, 24 ottobre 2018, n. 621 – Pres.  Ciliberti.; Est. Monteferrante. – Re Plus S.r.l. (avv.ti Viola, Neri, Bucello, Tonoletti) c. Regione Molise ed a. (Avv. distr. Stato) ed altri

Nel giudizio di valutazione di impatto ambientale relativo a un impianto eolico da fonte rinnovabile, l’intensità (maggiore o minore) del grado di protezione, in presenza di circostanze che evidenziano impatti pregiudizievoli per le matrici ambientali, è questione che impinge nel merito della decisione amministrativa e, come tale, si sottrae al sindacato giurisdizionale. Il rappresentante dell’amministrazione preposta alla tutela paesaggistica può anche non essere fisicamente presente alla Conferenza dei Servizi relativa al procedimento di valutazione di impatto ambientale senza che vi siano profili di illegittimità del provvedimento finale di diniego, a condizione però che il relativo parere sia riversato agli atti della stessa e in tale sede esaminato.

La sentenza in commento si esprime nuovamente sul delicato tema del contemperamento tra tutela del paesaggio e diffusione nel territorio degli impianti da fonte rinnovabile, seguendo l’orientamento di parte della giurisprudenza che vede, spesso, nei fatti, per ragioni di merito e/o procedimentali, una certa prevalenza dell’interesse alla tutela del paesaggio rispetto alla diffusione degli impianti da fonte rinnovabile ancorché questi ultimi siano oggetto di una disciplina nazionale e comunitaria che ne vorrebbe una quanto più larga diffusione. Infatti, come è noto, gli impianti da fonte rinnovabile, e, nello specifico e per quanto di interesse gli impianti eolici, sfruttando unicamente l’energia cinetica del vento, non richiedono l’utilizzo di alcun combustibile che determini emissioni o ripercussioni dannose per l’uomo e per l’ambiente. Tali tipologie di fonti di produzione di energia, a differenza di quelle cosiddette convenzionali, sono incentivate. Rientrano tra gli obiettivi nazionali e comunitari sullo sviluppo sostenibile, e sono dichiarate di pubblica utilità nonché indifferibili ed urgenti (art. 1, comma 4, Legge 10/91, ribadito anche dal D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387). Nonostante questo indubbio favor a livello normativo, i procedimenti di autorizzazione degli impianti da fonte rinnovabile si concludono non di rado con provvedimenti negativi soprattutto emessi nell’ambito delle valutazioni afferenti l’impatto sul paesaggio e sull’inserimento nell’ambiente[i].

E’ chiaro che il tema dell’inserimento di tali impianti nel paesaggio di per sé è di non facile soluzione dal momento che gli impianti da fonte rinnovabile, e certamente gli impianti eolici quali quelli di cui si discute nella sentenza in commento, sono per loro natura da collocarsi in contesti naturali che non possono non subire un impatto dalla relativa modifica dello stato dei luoghi.

Il Legislatore nazionale con il D.M. 10 settembre 2010 ha tentato di stabilire dei criteri generali che potessero in effetti guidare sia le amministrazioni regionali sia gli sviluppatori dei progetti nella valutazione della localizzazione degli impianti. Tale D.M. ha infatti previsto (art. 17.1) che per accelerare l’iter di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili le Regioni e le Province autonome possano procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti sulla base dei criteri contenuti nell’allegato 3 dello stesso D.M. L’individuazione della non idoneità dell’area è operata dalle Regioni attraverso un’apposita ed articolata istruttoria che deve tenere conto delle esigenze di tutela anche in relazione alle diverse tipologie di impianti.

Nonostante le Regioni, (spesso anche in contrasto con quanto indicato dalla Corte Costituzionale per la quale comunque l’individuazione delle aree non idonee deve essere sorretta da specifiche adeguate e concrete ragioni di tutela costituendo un’eccezione al principio di diffusione delle fonti rinnovabili[ii]), abbiano in effetti individuato le aree non idonee alla collocazione di impianti da fonte rinnovabile all’interno del proprio territorio, spesso inibendo la realizzazione di impianti su vaste aree, cui ovviamente si aggiungono anche quelle nelle quali gli impianti eolici sono vietati a livello nazionale quali le ZPS, la realizzazione di impianti nella aree residue (ossia quelle che in teoria sarebbero idonee) trovano numerosi e diversi ostacoli.

In un primo e tutto sommato prevalente orientamento, la giurisprudenza ha rilevato come, in effetti, nelle aree non classificate come non idonee, salva comunque la necessità di valutare l’impatto dell’impianto su uno specifico territorio, la valutazione della compatibilità dell’impianto debba essere esaminata tenendo conto del fatto che le tecnologie di cui agli impianti da fonte rinnovabile sono ormai considerate elementi normali del paesaggio[iii]. Di fatto, la giurisprudenza si era rivelata assai rigorosa indicando come l’autorità preposta alla tutela paesaggistica non dovesse limitarsi ad asserire la percepibilità sotto il profilo paesaggistico del progettato intervento, posto che ciò costituisce un mero “prerequisito”, essendo, per contro, “tenuta a dare conto, mediante argomentazioni concrete e realmente riferibili allo stato dei luoghi, dell’effettiva incidenza negativa dell’intervento proposto sui valori tutelati[iv]. Deve, dunque, essere individuata “l’effettiva lesione del paesaggio[v], a valle di una verifica “in concreto [del]l’effettiva incidenza negativa dell’impianto proposto, nonostante l’effettiva situazione dell’area (…)[vi].Il predetto orientamento giurisprudenziale richiede una motivazione particolarmente articolata, in quanto comprensiva anche di un’adeguata valorizzazione e comparazione dei plurimi interessi concorrenti, pubblici e privati, che assumano rilievo in sede di realizzazione dell’impianto accanto all’interesse paesaggio[vii].

Il parere negativo in merito alla compatibilità paesaggistica di un dato intervento, oltre a dover essere congruamente motivato, deve inoltre indicare “quale tipo di accorgimento tecnico o, al limite, di modifica progettuale potrebbe fare conseguire all’interessato l’autorizzazione paesaggistica; la tutela del preminente valore del paesaggio, infatti, non deve necessariamente coincidere con la sua statica salvaguardia, ma richiede interventi improntati a fattiva collaborazione delle autorità preposte alla tutela paesaggistica, funzionali a conformare le iniziative edilizie al rispetto dei valori estetici e naturalistici insiti nel bene paesaggio[viii]. Ancora, “di fronte ad un parere negativo, il privato cittadino deve avere la possibilità di capire cosa, nell’intervento da lui proposto, è accettabile e cosa viceversa è inaccettabile, in modo da poter scegliere se rinunciare alla propria iniziativa, ovvero realizzarla conformandosi al volere dell’amministrazione. Diversamente, infatti, qualunque vincolo paesaggistico non si differenzierebbe, nei risultati ultimi, da un vincolo di inedificabilità assoluta, imposto oltretutto senza indennizzo alcuno” (Cons. Stato, sez. VI, 19 giugno 2017, n. 2968).

La sentenza in commento, al contrario, sembra discostarsi dalla giurisprudenza sopra citata e – ad esempio – rileva come, a fronte di un parere negativo reso dalla Soprintendenza Paesaggistica nell’ambito del procedimento di valutazione di impatto ambientale ed a fronte delle numerose censure sollevate dalla ricorrente in primo grado, il grado di protezione da approntare ad un determinato territorio sia questione di merito e come quindi “l’intensità (maggiore o minore) del grado di protezione, in presenza di circostanze che evidenziano impatti pregiudizievoli per le matrici ambientali, è questione che impinge nel merito della decisione amministrativa e, come tale, si sottrae al sindacato giurisdizionale”.

Se certamente il fatto che la localizzazione di un impianto in progetto in un’area non classificata come non idonea e non interessata da particolari vincoli non esime l’amministrazione nel suo complesso dal valutare gli impatti che quel determinato progetto può comportare sull’ambiente, ciononostante in tali circostanze fattuali una valutazione negativa su tutto il progetto e motivata su profili paesaggistici, per di più, – come indica il TAR Molise, – sottratti al sindacato giurisdizionale, pare invero frustrare lo spirito della norma che attribuisce agli impianti da fonte rinnovabile un particolare favor, di fatto “sbilanciando” la comparazione degli interessi a favore di una tutela paesaggistica spesso intesa in termini assoluti di immodificabilità del territorio.

Un possibile punto di equilibrio, parrebbe potersi rinvenire nella più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato in argomento secondo cui, pur nell’ambito di una valutazione tecnico-discrezionale sulla compatibilità di un intervento con il vincolo paesaggistico “per evitare che il giudizio di compatibilità paesaggistica si traduca nell’esercizio di una valutazione insindacabile, è necessario che il provvedimento dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sia sorretto da un’ampia e circostanziata motivazione, dalla quale sia possibile ricostruire sia le premesse che l’iter logico seguito nel percorso valutativo che si conclude con il giudizio finale[ix].

Peraltro, i medesimi principi sono stati affermati anche con riferimento al sindacato in materia di valutazioni di impatto ambientale laddove, per esempio, si è rilevato che nei casi in cui “il sindacato giurisdizionale sul provvedimento finale risulta limitato, deve essere accentuato, onde non incorrere in un deficit di tutela, il rigore nella valutazione degli elementi formali dell’atto, quali la presenza di una motivazione adeguata[x].

  1. La sentenza in commento contiene poi altre importanti considerazioni in merito a tematiche procedimentali relative agli impianti in questione con particolare riferimento agli obblighi di motivazione e allo svolgimento del procedimento in conferenza dei servizi.

In estrema sintesi. Anzitutto, il T.A.R. Molise afferma la non applicabilità dell’art. 10 bis della L. 241/1990 al provvedimento conclusivo del procedimento di valutazione di impatto ambientale. Sull’applicabilità dell’art. 10 bis al diniego nell’ambito delle valutazioni di impatto ambientale invero la giurisprudenza è divisa. Infatti, secondo parte della giurisprudenza, non si rinvengono nel D. Lgs. 152/2006 espresse disposizioni normative ostative all’applicazione dell’art. 10 bis[xi].

Quanto alla motivazione del provvedimento di diniego, il T.A.R. Molise rileva che nel caso di valutazione di impatto ambientale negativa, anche fondata su una valutazione paesaggistica negativa, la motivazione della decisione finale ben può essere desunta dalla lettura degli atti e provvedimenti presupposti, laddove chiaramente evincibile dalle risultanze istruttorie. Pertanto, sempre secondo il T.A.R. Molise, la specifica sussistenza negli atti procedimentali di elementi da cui possa ricostruirsi la motivazione del diniego, renderebbe superflua la necessità di una confutazione specifica delle osservazioni al parere paesaggistico negativo formulate dalla ricorrente in quanto inidonee a sconfessarne l’esistenza e quindi l’idoneità a palesare una esigenza di tutela, essendo poi “questione di merito il giudizio relativo al grado di protezione da approntare”. A tale riguardo, se è pur vero che la giurisprudenza certamente riconosce la legittimità della motivazione per relationem[xii], è altresì altrettanto vero che alla luce della giurisprudenza già sopra illustrata in merito, da un lato, alla discrezionalità insita in tale tipologie di valutazioni e, dall’altro lato, al fatto che, quale garanzia, vi sia una articolata e sostanziata motivazione, il mero richiamo ad altri atti per relationem potrebbe comunque, in certe circostanze e nell’ambito di procedimenti valutativi quali quelli di cui si discute, determinare un vulnus di tutela. La mera motivazione per relationem contenuta nell’atto finale, infatti, potrebbe non esplicitare in maniera sufficientemente esaustiva, tanto più nel caso di valutazioni tecniche, il ragionamento logico e le eventuali comparazioni tra gli interessi confliggenti che siano state effettivamente effettuate dall’autorità.

Infine, sulla partecipazione in conferenza dei servizi, il T.A.R. Molise nella sentenza in commento, aderisce a quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il rappresentante dell’amministrazione preposta alla tutela paesaggistica o ambientale possa anche non essere fisicamente presente in conferenza a condizione che il relativo parere sia riversato agli atti della stessa e in tale sede esaminato, in quanto in tal modo, sebbene in “via cartolare”, risulta comunque realizzata la concentrazione in un’unica sede ed in un unico momento della manifestazione degli interessi. A tale riguardo, si rappresenta che, se certamente vi è giurisprudenza in tale senso, ossia che un parere possa essere acquisito e riversato nella conferenza dei servizi, pare invero che in mancanza poi del rappresentante dell’ente in conferenza sia del tutto frustrato lo spirito della conferenza di servizi, in quanto né gli enti né tanto meno il proponente sono posti in grado di interloquire su contenuto del parere stesso[xiii].

Sia consentita un’ultima notazione. Il diniego alla realizzazione di un impianto definito ex lege di pubblica utilità, indifferibile ed urgente, la cui localizzazione è prevista in aree non classificate tra quelle “non idonee”, occorre nel caso di specie, in ragione di una valutazione che, secondo il T.A.R., impinge nel merito della decisione amministrativa, senza che il rappresentante preposto alla tutela paesaggistica debba interloquire con il proponente in conferenza dei servizi e senza che sia necessario il preavviso di rigetto, essendo, oltretutto, sufficiente che il provvedimento finale contenga una motivazione per relationem. Ci si domanda se, in effetti, il grado di tutela approntato ad un proponente relativamente agli impianti di cui di discute, che oltretutto, hanno anche considerevoli costi di sviluppo e progettazione, sia sufficiente o se, di contro, sarebbe necessaria una complessiva più rigorosa applicazione degli istituti di garanzia previsti nelle disposizioni sul procedimento amministrativo.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale di Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato. TAR Molise Campobasso sentenza 621-2018

[i] In dottrina, cfr. tra gli altri, S. Guarino, Realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonte eolica ed aree montane, in questa Rivista, 2013, 1, 105; A. Carbone, Autorizzazione unica e per la costruzione di impianti eolici e conferenza di servizi: sul valore procedimentale del dissenso qualificato, in Riv. Giur. Edilizia, 2012, 3, 719; S. Amorosino, Impianti di energia rinnovabile e tutela dell’ambiente e del paesaggio, in questa Rivista, 2011, 6, 753, S. Guarino Autorizzazione paesaggistica e valutazione comparativa di interessi in materia di energia eolica, in questa Rivista, 3-4, 2008, 640.

[ii] Cfr. Corte Cost. n. 224/2012 Secondo cui “l’inserimento di eccezioni al principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili dovrebbe essere sorretta da adeguate e concrete ragioni di tutela paesaggistica, mentre la generale esclusione di tutto il territorio – tranne le aree tassativamente indicate – esime dalla individuazione della ratio che presiede alla dichiarazione di inidoneità di specifiche tipologie di aree”.

[iii] Cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, 17 dicembre 2010, n. 904 che ha avuto di affermare con riferimento agli di impianti da fonte rinnovabile che “Il favor legislativo per le fonti energetiche rinnovabili richiede di concentrare l’impedimento assoluto all’installazione di impianti fotovoltaici in zone sottoposte a vincolo paesistico unicamente nelle “aree non idonee” espressamente individuate dalla regione secondo quanto previsto al punto 17 del d.m. 10 settembre 2010. Negli altri casi, la compatibilità dell’impianto fotovoltaico con il suddetto vincolo deve essere esaminata tenendo conto del fatto che queste tecnologie sono ormai considerate elementi normali del paesaggio”.

[iv] Ex multis, T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. II, 20 ottobre 2016, n. 777.

[v] Cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 1695/2010.

[vi] Cfr. T.A.R. Molise, Sez. I, n. 255/2015.

[vii] In argomento di autorizzazioni/pareri paesaggistici espressi con specifico riferimento alla realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili e, segnatamente, da fonte eolica  cfr., per esempio, T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sez. I, n. 187/2016; Cons. Stato, Sez. VI, n. 1201/2016; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, n. 1252/2007 e sez. I, n. 1671/2005; Cons. Stato, Sez. VI, n. 1676/2005 e n. 971/2005; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, n. 150/2005.

[viii] Cfr. T.A.R. Sardegna, sez. II, n. 14/2016; in proposito, cfr. anche Cons. Stato, Sez. VI, n. 6149/2014; T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, n. 32/2011; T.A.R. Lazio, Sez. I, n. 1345/2009).

[ix] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 15/10/2018, n. 5909. In argomento anche Cons. Stato, Sez. VI, 23/07/2018, n. 4466, TAR Napoli, Sez. VII, 28/03/2018, n. 1989.

[x] Cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 2 maggio 2017, n. 988.

[xi] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22/03/2012, n. 1640, T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 21/05/2012, n. 976 e T.A.R. Catanzaro, Sez. I, 26/11/2009. Contra T.A.R. Sicilia, Palermo, 04/06/2012, n. 1177 e T.A.R. Lazio, Sez. I., 15/12/2010, n. 36740

[xii] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30/10/2018, n. 6169, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, 17/05/2017, n. 1086, T.A.R. Cagliari, Sez. I, 4/02/2016, n. 99.

[xiii] Si veda in argomento Cons. Stato, sez. V, 9/07/2018, n. 4191, Cons. Stato, sez. IV, 13/04/2016, n. 1454, T.A.R. Abruzzo, sez. I 6/02/2017, n. 55, T.A.R. Cagliari, sez. II 9/05/2013, n. 387.