di Enrico Fassi
CASS., Sez. III, 18 ottobre 2019 (dep. 28 novembre 2019), n. 48406. Pres. G. Andreazza – Rel. G. Noviello
In tema di concorso tra fattispecie di reato, si conferma come il rapporto sussistente tra la contravvenzione di cui all’art. 674 cp e la fattispecie di cui all’art. 137 d.lgs. n. 152/2006 (nonché più in generale con le disposizioni di cui al c.d. Testo Unico Ambientale) possa essere risolto avendo riguardo alla diversità strutturale tra le fattispecie, con la conseguente applicazione, in caso di ritenuta integrazione degli elementi costituitivi delle stesse, di entrambe le pene previste; allo stesso modo, quanto alla natura dell’art. 674 cp, si ribadisce la necessità di una condotta attiva – sia essa dolosa ovvero colposa – da parte dell’agente per l’integrazione della componente oggettiva della contravvenzione.
Con la sentenza in commento la Cassazione affronta la tematica relativa al rapporto tra la fattispecie di cui all’art. 137 d.lgs. n. 152/2006, come noto disciplinante le sanzioni penali in materia di scarichi di acque reflue[i], e la contravvenzione di cui all’art. 674 cp, puntualizzando e precisando i rapporti tra le medesime oltre che fornendo indicazioni interpretative rispetto al reato di getto pericoloso di cose.
Pur nella concisione dell’apparato motivazionale, la decisione della Suprema Corte può essere (brevemente) commentata valorizzando due diverse direttrici di analisi esaminate dal Collegio, quali: i. il rapporto tra le due fattispecie di reato poc’anzi menzionate; ii. la natura della contravvenzione di cui all’art. 674 cp, sotto il profilo della configurazione del contributo attivo richiesto all’autore della condotta attenzionata.
Il caso sottoposto allo scrutinio del Collegio trae origine dal ricorso presentato dai soggetti imputati nei confronti della sentenza emessa in data 28 gennaio 2019 dal Tribunale di Pescara, che assolveva i medesimi per il reato di cui all’art. 137 d.lgs. n. 152/2006 al contempo ritenendoli penalmente responsabili per la contravvenzione di cui all’art. 674 cp.
Per quanto di interesse nella presente sede, attraverso i motivi di ricorso, gli interessati deducevano:
- a) in primo luogo, la violazione di legge con riferimento alla erronea applicazione degli artt. 15 e 674 cp, giacché nella prospettazione difensiva la fattispecie di cui all’art. 674 cp deve porsi in rapporto di specialità con la correlata ipotesi di cui al d.lgs. n. 152/2006, attesa la natura omogenea di tali reati, con conseguente assorbimento della prima nella seconda;
- b) secondariamente, la violazione di legge con riferimento alla non corretta applicazione dell’art. 674 cp dal punto di vista della configurazione dell’elemento oggettivo, il quale richiederebbe una condotta attiva da parte dell’agente, consistente nel getto di cose pericolose, in specie nel versamento di cose atte ad offendere, mentre al contrario risulta(va) in contestazione una condotta omissiva per mancato impedimento dell’evento pericoloso;
- c) in terzo luogo, il vizio di cui all’art. 606, I, lett. b) e e), cpp per erronea applicazione dell’art. 674 cp oltre che per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione la quale avrebbe nei fatti travisato le circostanze fattuali presenti in atti, sulle quali ci si soffermerà infra, la cui corretta comprensione avrebbe al contrario dimostrato la insussistenza quantomeno della componente soggettiva richiesta dalla disposizione incriminatrice.
Invertendo l’ordine espositivo seguito dalla Corte, che a sua volta prendeva le mosse dai motivi di ricorso proposti dai soggetti imputati, può ora esaminarsi il profilo relativo alla censura sulla ritenuta manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione adottata dal giudice di merito, che ha condotto all’accoglimento del gravame ed al conseguente rinvio alla medesima A.G. per un nuovo esame della vicenda alla luce dei principi di diritto enunciati dal Collegio.
Difatti, per quanto ricavabile dalla motivazione della sentenza in commento, le contestazioni ascritte agli imputati erano riferite ad un episodio di non consentito sversamento di acque reflue, come tale rilevante ai sensi dell’art. 137 d.lgs. n. 152/2006 e dell’art. 674 cp, determinato da un malfunzionamento del sistema di gestione dell’impianto di c.d. “troppo pieno” (del quale gli stessi risultavano responsabili), utilizzato per il governo delle portate dei flussi di acque reflue, posto all’interno di condutture poi collegate al depuratore locale.
Al di là delle censure ex art. 606, I, lett. b) cpp in rapporto all’art. 674 cp, volte a dimostrare l’unicità, la brevità temporale oltre che la scarsa portata inquinante dello scarico, dedotte dai ricorrenti e contenute nel secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile in quanto non supportato da elementi probatori a sostegno della richiesta di parte, dall’apparato argomentativo della Cassazione si evidenzia come la A.G. di Pescara avesse travisato le modalità di funzionamento del citato sistema di gestione del flusso dei reflui, c.d. “troppo pieno”, con ciò incorrendo in un vizio di illogicità della motivazione tale da comportare l’annullamento (con rinvio) della sentenza impugnata[ii].
Travisamento, quello poc’anzi esposto, che avrebbe altresì impedito una corretta valutazione rispetto alla struttura giuridica del reato di cui all’art. 674 cp, che comunque viene sommariamente affrontata dal Collegio, in quanto anch’essa costituente specifico motivo di gravame[iii].
Come anticipato in apertura, in ogni caso, la decisione della Suprema Corte risulta di interesse sotto un duplice profilo.
In primo luogo, nella sentenza si (ri)afferma e precisa il rapporto tra le due fattispecie incriminatrici in esame, le quali non si porrebbero in rapporto di specialità[iv], attesa la diversità strutturale tra le medesime, con la conseguenza che – nei casi come quello di cui trattasi – il reato di cui all’art. 674 cp può concorrere con la contravvenzione di cui all’art. 137 d.lgs. n. 152/2006.
In altre parole, essendo le contravvenzioni stesse poste a tutela di beni giuridici diversi, nonché fondate su diversi presupposti, esulando da quella contenuta nel d.lgs. n. 152/2006 qualsivoglia connotato qualificante di offesa o molestia alle persone, le sanzioni in esse previste troverebbero ordinaria applicazione secondo la disciplina del concorso di reati[v].
Più in generale, la giurisprudenza di legittimità risulta costante nel ritenere ammissibile il concorso tra la contravvenzione di cui all’art. 674 cp e le disposizioni speciali contenute nel d.lgs. n. 152/2006 – sia esse in materia di rifiuti, in tema di scarichi di acque reflue ovvero di emissioni – proprio in considerazione della diversità strutturale tra le fattispecie nonché dei diversi beni giuridici posti a fondamento delle previsioni incriminatrici[vi].
E la possibilità di concorso tra le suddette norme era stata persino osservata – in presenza di attività autorizzate, come tali comportanti la legittimità ai sensi della disciplina di cui al d.lgs. n. 152/2006 delle condotte astrattamente rilevanti– finanche a prescindere dal superamento o meno dei limiti autorizzativi in possesso dell’impianto gestito dall’autore della condotta[vii].
In secondo luogo, pare di interesse l’osservazione della Corte – anch’essa in linea con la giurisprudenza esistente – in punto di (in)ammissibilità di una causalità omissiva per la integrazione dell’art. 674 cp.
Nello specifico infatti nella motivazione della sentenza impugnata – seppur appunto censurata dal punto di vista della contraddittorietà rilevante ai sensi dell’art. 606, I, lett. e) cpp – l’interpretazione della imputazione ascritta ai responsabili del sistema di gestione del flusso dei reflui sarebbe consistita in una omessa attivazione per la predisposizione ed attuazione delle iniziative necessarie per il governo del sistema c.d. troppo pieno, con conseguente verificazione di uno sversamento di reflui in mare, rilevante (anche) ai sensi dell’art. 674 cp.
Prescindendo dal corretto inquadramento del funzionamento del sistema di c.d. troppo pieno in rapporto alla condotta ascritta ai soggetti imputati effettuato dal Tribunale di prime cure, dirimente per una compiuta valutazione sulla legittimità della condotta medesima alla luce della riscontrata esondazione di reflui, la Cassazione afferma in conclusione che la decisione consapevole di far funzionare e gestire un impianto sub-ottimale implicherebbe una condotta positiva di disturbo e molestia a livello igienico, «e non una mera condotta omissiva dell’adozione di cautele idonee ad impedire il versamento»[viii].
Quanto osservato risulta in linea con la costante elaborazione giurisprudenziale in materia, nella quale si è osservato come il reato di cui all’art. 674 cp non possa ritenersi integrato con una condotta omissiva, implicando necessariamente una condotta attiva e consapevole da parte dell’agente, ovvero in qualsiasi altro modo dallo stesso posto in essere o lasciato dolosamente o colposamente in azione[ix].
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[i] Per un inquadramento complessivo della materia, si rimanda a RAMACCI, Il diritto penale dell’ambiente, Piacenza, 2017, p. 337 e ss; AMENDOLA, Il diritto penale dell’ambiente, Roma, 2016, p. 103 e ss.
[ii] Con sinteticità, il sistema definito c.d. troppo pieno consiste in una apertura di scarico accessoria all’interno di un canale, posta ad una certa distanza dal fondo e dal bordo di un contenitore, avente quale scopo quello di ovviare a situazioni straordinarie e non preventivate di eccessiva raccolta di reflui, suscettibili di esondare il maniera incontrollata, di fatto comportando una via alternativa di raccolta delle acque e diretta a garantire il rispetto della disciplina vigente in materia di acque proprio nei casi di comprovata sussistenza di problematiche (per prevenire sversamenti). Ciò si traduce, nei casi di aumenti della portata di reflui in transito, nell’allontanamento dei materiali in altro ricettore per evitare sovraccarichi idraulici all’impianto di depurazione.
[iii] Premesso quanto già osservato in punto di inquadramento del sistema di c.d. troppo pieno, a parere della Cassazione il giudicante di prime cure sarebbe infatti incorso in un cortocircuito motivazionale non avendo correttamente inquadrato il sistema stesso: non sarebbe stato messo in luce se la problematica oggetto del giudizio e ravvisata risultasse da ricondurre ad un cattivo funzionamento del sistema stesso, direttamente attribuibile agli imputati sotto il profilo oggettivo del coefficiente attivo della condotta tenuta e che aveva cagionato lo sversamento di reflui in mare rilevante ai sensi dell’art. 674 cp, ovvero da correlare ad un paventato non corretto utilizzo del sistema di c.d. troppo pieno in sé considerato – sempre per realizzare lo sversamento in mare – che risultasse da ricondurre alla fattispecie contravvenzionale menzionata unicamente in ragione della interpretazione fornita agli elementi costitutivi del reato stesso.
[iv] In tema di principio di specialità di cui all’art. 15 cp, nonché di unità e pluralità di reati così come di concorso apparente di norme, si veda MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 2015, p. 459 e ss.; PADOVANI, Diritto penale, X ed., Milano, 2012, p. 385 e ss.
[v] In questo senso, Cass., sez. III, 7 novembre 2007, n. 6419; Cass., sez. I, 22 giugno 2005, n. 26109; Cass., sez. I, 1° luglio 2003, n. 37945.
[vi] Ad esempio, quanto ai rapporti tra la contravvenzione di cui all’art. 674 cp e il reato i reati in tema di gestione non autorizzata di rifiuti (art. 256, d.lgs. n. 152/2006) e di scarico di reflui industriali senza autorizzazione (art. 137, d.lgs. n. 152/2006), è stata costantemente affermata la possibilità di concorso tra i reati, purché si accerti la potenziale offensività del rifiuto o del refluo e che il “getto” avvenga in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato di comune o altrui uso. Così, Cass. sez. III, 25 maggio 2011, n. 25037; ovvero anche, con riferimento alla normativa preesistente, Cass., sez. 1, 10 novembre 1998, n. 13278. Allo stesso modo, è stata confermata la possibilità di concorso tra la contravvenzione di cui all’art. 674 cp e le disposizioni speciali in materia ambientale nella materia afferente l’inquinamento atmosferico: così Cass., sez. III, 7 ottobre 2003, n. 37945; Cass., sez. III, 7 aprile 1994, n. 6598; oltre che nella materia riguardante l’inquinamento elettromagnetico: in questo senso Cass., sez. I, 12 marzo 2002, n. 10475.
[vii] Secondo tale orientamento, si veda ex multis, Cass., sez. III, 12 febbraio 2009, n. 15734; l’impostazione citata risulta in ogni caso superata dalla argomentazione per cui (anche) il reato di getto pericoloso di cose non è configurabile nella ipotesi in cui le emissioni provengano da un’attività regolarmente autorizzata o da un’attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali – e che siano contenute nei limiti di legge o fissati da atti amministrativi – il cui rispetto implica infatti una presunzione di legittimità del comportamento attenzionato. Sul punto, Cass., sez. III, 13 luglio 2011, n. 37495; Cass., sez. III, 21 ottobre 2010, n. 40849.
[viii] Cass., sez. III, 7 novembre 2007, n. 6419.
[ix] Così, conformemente alle più risalenti decisioni, Cass., sez. I, 26 gennaio 1995, n. 3644; Cass., sez. I, 24 luglio 1992, n. 8386.