di Chiara Maria Lorenzin
T.A.R. Lazio, Sezione Prima Quater – 4 marzo 2021, n. 2652 – Pres. A. Tomassetti, Est. M. Caminiti – Avv. F. Fonderico (rappresentato da sé medesimo e con gli avv.ti H. Bonura, G. Fonderico, G. Ioannides) c. Regione Lazio, n.c., e nei confronti di AA2 n.c.-
In tema di diritto di accesso alle informazioni ambientali, il regime facilitato di accesso di cui al D.lgs. n. 195 del 2005 rende prevalenti gli interessi di coloro che vogliono accedere ai documenti relativi ai diritti fondamentali (salute, ambiente) rispetto alla situazione di chi ha invece interesse a che i dati aziendali o personali non siano rivelati.
La motivazione del diniego di accesso agli atti in materia ambientale non può dirsi sufficiente ove fondata esclusivamente sulla mancanza del consenso da parte del soggetto controinteressato, atteso che la normativa in materia, lungi dal rendere i controinteressati arbitri delle richieste che li riguardino, rimette sempre all’Amministrazione destinataria della richiesta di accesso il potere di valutare la fondatezza della richiesta stessa, anche in contrasto con l’opposizione eventualmente manifestata dai controinteressati.
La richiesta di accesso alle informazioni ambientali non esime il richiedente dal dimostrare che l’interesse, che intende far valere, abbia natura ambientale, non potendo ammettersi che dell’istituto si possa fare un utilizzo per finalità ad esso estranee; di qui la necessità che la richiesta di accesso sia formulata specificamente con riferimento alle matrici ambientali potenzialmente compromesse e fornire una ragionevole prospettazione degli effetti negativi.
Il diritto di accesso agli atti, come noto, trova riconoscimento nel Capo V della L. n. 241/1990 e anche nel D.Lgs. n. 33/2013 (nella forma del c.d. accesso civico), ma è con il D.Lgs. n. 195/2005 che si disciplina specificamente il diritto di accesso in materia ambientale riconosciuto a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse e tale diritto deve trovare pronto riscontro da parte dell’autorità pubblica entro trenta giorni dalla data del ricevimento della richiesta (ovvero entro sessanta giorni dalla stessa data nel caso in cui l’entità e la complessità della richiesta sono tali da non consentire di soddisfarla entro il predetto termine di trenta giorni, avendo cura in tale ultimo caso di informare tempestivamente e, comunque, entro il predetto termine di trenta giorni il richiedente della proroga e dei motivi che la giustificano).
Anche nell’ipotesi di accesso in materia ambientale, qualora l’autorità pubblica non provveda nei termini prescritti dalla normativa sopra citata ovvero dinieghi la richiesta, l’interessato può agire con ricorso ex art. 116 c.p.a. come avvenuto nel caso della sentenza in commento con riferimento a un progetto di concessione di grande derivazione di acqua pubblica, ad uso di approvvigionamento idropotabile, concernente il fiume Tevere nel territorio del comune di Roma, progetto in relazione al quale il diniego è stato motivato considerando quanto ritenuto dal controinteressato.
Il Tribunale Amministrativo per la Regione Lazio, in un’unica pronuncia, ha così avuto l’occasione di affermare importanti principi in materia di accesso alle informazioni ambientali la cui fonte internazionale è da ricercarsi nella Convenzione di Aarhus (firmata il 25 giugno 1998 e approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2005/370/CE del Consiglio del 17 febbraio 2005)
Si precisa, anzitutto, nella sentenza come, in forza dell’art. 3, comma 1, D.lgs. n. 195/2005, le informazioni ambientali[i] spettino a chiunque le richieda, senza necessità, in deroga alla disciplina generale sull’accesso ai documenti amministrativi, di dimostrare un suo particolare e qualificato interesse. La medesima disposizione, inoltre, estende il contenuto delle notizie accessibili alle “informazioni ambientali” (che implicano anche un’attività elaborativa da parte dell’Amministrazione interessata alle comunicazioni richieste), assicurando, così, al richiedente una tutela più ampia di quella garantita dall’art. 22 L. n. 241/1990, circoscritta ai soli documenti amministrativi già formati e nella disponibilità dell’Amministrazione.
È confermato il principio in base al quale sebbene l’accesso all’informazione ambientale possa essere esercitato da chiunque, senza la necessità di dimostrare uno specifico interesse, la richiesta deve indicare le matrici ambientali potenzialmente compromesse e fornire una ragionevole prospettazione di tali effetti negativi e/o del contesto ambientale che può essere pregiudicato/alterato e ciò al fine di evitare che dell’istituto si possa fare un utilizzo per finalità ad esso estranee (cfr. in tal senso Cons. Stato Sez. V, 17 luglio 2018, n. 4339; T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, 2 maggio 2018, n. 4800; Cons. Stato, sez. V, 13 marzo 2019, n. 1670).
Quanto alla motivazione dell’eventuale diniego, la sentenza appare ulteriormente interessante nella parte in cui statuisce come la mancanza del consenso da parte del soggetto controinteressato non sia decisiva ai fini della decisione da assumere, atteso che la normativa in materia di accesso agli atti affida all’Amministrazione destinataria della richiesta di accesso il potere di valutare la fondatezza della richiesta stessa, “anche in contrasto con l’opposizione eventualmente manifestata dai controinteressati (cfr. anche T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 16 marzo 2015, n.281)”.
Un quadro normativo e interpretativo, dunque, che conferma il diritto di accesso in materia ambientale quale istituto finalizzato a garantire ai cittadini il “diritto alla trasparenza e la partecipazione in materia” e quale strumento di “controllo diffuso e incisivo sul buon governo delle risorse ambientali”.
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Chiara Maria Lorenzin commento 4-3
Note:
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