Discrezionalità e prescrizioni in materia ambientale: uno strumento da non trascurare

Discrezionalità e prescrizioni in materia ambientale: uno strumento da non trascurare

di Claudia Pengue

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA – 5 gennaio 2022, n. 15 – Pres. De Nictolis, Rel. Modica de Mohac – I.T.S. s.r.l. (Avv. G. Consoli) c. Assessorato regionale del territorio e dell’ambiente e Assessorato regionale dell’energia e dei servizi di pubblica utilità (Avvocatura dello Stato) e R. s.r.l (avv. G. Sciangula).

In seno ai procedimenti ambientali è legittimo l’uso di una ampia discrezionalità amministrativa che sia sorretta da una approfondita istruttoria e che conduca all’adozione di un provvedimento che ponderi al suo interno l’interesse pubblico e privato.

Tale provvedimento può altresì, per ragioni di economia procedimentale, contenere prescrizioni vincolanti per il soggetto privato sia che esso giunga a conclusione di una VIA che a conclusione di un’AIA purché questi non vadano, in sede esecutiva, a snaturare il progetto proposto.

La sentenza in esame, prendendo le mosse da un conflitto tra due società concorrenti, entrambe operanti nel settore dei rifiuti liquidi pericolosi e non, consente di porre in essere una riflessione su due temi cardine e intrinsecamente correlati dei procedimenti ambientali: da un lato la discrezionalità amministrativa e dall’altro il tema dell’utilizzo di prescrizioni.

Non ci si soffermerà in questa sede, sugli assunti del Collegio in punto di partecipazione al procedimento ambientale e alle relative forme di pubblicità da porsi in essere, poiché è da ritenersi pacifico che, con riferimento alla Valutazione di impatto ambientale, essa debba essere ricondotta ad un c.d. “regime speciale” che consente l’efficace e simultaneo raggiungimento di una ampia platea tale da rendere ultronea una comunicazione puntuale del procedimento ai soggetti privati, privati – concorrenti ai quali invece non è offerta dimora in sede di AIA.

Brevemente ci si sofferma anche sul primo dei due argomenti di rilievo della pronuncia ovvero la verifica della rispondenza in tema di discrezionalità amministrativa: la giurisprudenza infatti ormai è concorde nel riconoscere, in sede di emanazione di provvedimenti ambientali, quali quello di VIA e di AIA, una ampia discrezionalità alle amministrazioni. La sentenza in esame si colloca infatti nel solco di plurime e analoghe pronunce dei collegi di tutta la penisola.

L’uso di un potere decisionale che proceda all’unisono con una attenta e puntuale ponderazione degli interessi, da condurre tramite una istruttoria approfondita (e dunque verificabile), conduce a un provvedimento che rispondendo all’obbligo motivazionale, proprio dell’agire amministrativo, ne concretizza altresì l’efficacia garantendo il buon andamento e funzionalità dello stesso costituzionalmente richiesto.

Dunque la possibilità di dispiegamento, da parte delle amministrazioni, della propria discrezionalità risulta direttamente proporzionale all’approfondimento istruttorio condotto sulle singole e specifiche criticità che ogni procedimento importa.[i]

Da ultimo, sul tema si annovera la sentenza n. 11507/2021 del TAR Lazio, Roma, che ha ricordato come nel rendere il giudizio di V.I.A., il compito assegnato alla Pubblica Amministrazione non si esaurisce nell’espressione di un mero giudizio tecnico, che in quanto tale è suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di autonomia decisionale amministrativa e istituzionale sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti e della loro ponderazione rispetto all’interesse all’esecuzione dell’opera o del progetto; pertanto, un provvedimento così ottenuto è sindacabile soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l’istruttoria sia mancata, o sia stata fallace, e sia perciò evidente un abuso del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione.

Tale impostazione giurisprudenziale si ritrova anche in precedenti arresti del collegio siciliano che ha così riconfermato il proprio orientamento “la funzione tipica della VIA sia quella di esprimere un giudizio sulla compatibilità di un progetto valutando il complessivo sacrificio imposto all’ambiente rispetto all’utilità socio-economica perseguita (Cons. Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 361; Id. 1 marzo 2019, n. 1423), che non è dunque espressione solo di discrezionalità tecnica, ma anche di scelte amministrative discrezionali, con la conseguenza della sottrazione di tali scelte al sindacato del Giudice amministrativo se non laddove ricorrano evidenti profili di illogicità, irragionevolezza o errore di fatto. Il giudizio di compatibilità ambientale è reso sulla base di oggettivi criteri di misurazione e attraversato da profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse dell’esecuzione dell’opera; apprezzamento che è sindacabile dal giudice amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l’istruttoria sia mancata o sia stata svolta in modo inadeguato e risulti perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione, anche perché la valutazione di impatto ambientale non è un mero atto tecnico di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico – amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio, in senso ampio, attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei contrapposti interessi pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico – sociale) e privati (Cons. Stato Sez. IV, 10 febbraio 2017, n. 575)» (Cons. Stato, Sez. II, 6 aprile 2020, n. 2248)” (cfr. sentenza n. 271/2021).

Nel caso in esame la sentenza dà atto di come sia possibile rinvenire una ricostruzione da parte del collegio di tutti gli aspetti valutati dall’Assessorato regionale il quale aveva analizzato le criticità legate alla vicinanza dei due impianti sino a prevedere puntuali prescrizioni in sede di rilascio dell’AIA.

Con tale raccordo il Collegio introduce il punto focale di questa sentenza ovvero la possibilità per le amministrazioni di utilizzare lo strumento prescrittivo, premurandosi di circoscriverne la portata.

La sentenza accomuna sul tema i due provvedimenti di VIA e di AIA, entrambi frutto di un sindacato discrezionale, ritenendo che questi possano essere accompagnati da prescrizioni.

Ed è proprio il tema delle prescrizioni è quello che rileva maggiormente nella sentenza di esame in quanto, costantemente avversato dall’operatore economico, è stato di recente portato alla ribalta dal decreto semplificazioni 76/2020 che ha generato, attraverso le modifiche introdotte nel TUA, una contraddizione che, ancora oggi, è necessario venga dipanata.

Non a caso, infatti il ricorrente vuole ricondurre l’impianto in oggetto tra quelli da sottoporsi a verifica di VIA, al fine di rendere illegittimo un provvedimento connotato da prescrizioni; prescrizioni che sono proprie, ex art. 5, lett. o, del TUA, solo del provvedimento di VIA, dopo la modifica operata dall’art. 28, comma 1, lettera a), della legge n. 108 del 2021.

Non vi è chi non veda come l’innovazione introduca una situazione di disomogeneità tra istituti consimili: tanto la verifica di VIA quanto la VIA utilizzano lo strumento prescrittivo quale mezzo per la concreta esplicazione dei principi unionali di precauzione e prevenzione, al fine di annullare o quanto meno circoscrivere i possibili impatti ambientali derivanti dalla messa in opera di un progetto.

La prassi ha però già compiuto un passo ulteriore riconoscendo, da un lato, il valore dell’economicità procedimentale propria dell’inserimento di prescrizioni anche in tale sede e, dall’altro, mettendo quale limite alle stesse che non devono snaturare il progetto analizzato ovvero celare impatti che andrebbero analizzati con un maggior livello di approfondimento.

La legittimità di questa prassi è stata confermata dal Consiglio di Stato, sin dalla sentenza del n. 5379/2020, che ha affermato come “l’esito positivo della verifica di assoggettabilità a VIA consente la formulazione di prescrizioni, per corroborare la scelta minimalista effettuata”, ogniqualvolta dette prescrizioni non rappresentano “un rinvio a livello di progettazione esecutiva di nuove scelte progettuali o nuove valutazioni circa gli impatti delle opere sui vari profili ambientali o in merito ai rischi derivanti dall’esecuzione degli interventi, bensì l’opportuna e consapevole imposizione di ulteriori controlli e verifiche proprie dell’azione di “sorveglianza ambientale”, da effettuarsi anche prima che il Proponente dia avvio alle operazioni di trasformazione del territorio”.

Tale assunto è in accordo con l’art. 28 comma 7 bis del TUA, dedicato al monitoraggio, che richiede al proponente di ottemperare alle prescrizioni contenute nel provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA o di VIA, confermando la possibilità che siano dunque presenti anche nella prima.

Infine pure il decreto semplificazioni conferma questa direzione, prevedendo che il proponente possa chiedere – nell’istanza – l’apposizione di prescrizioni all’esclusione da VIA, anche per tener conto dell’apporto dell’istruttoria paesaggistica del MIC. Formulate le osservazioni del MIC, la Commissione si deve pronunciarsi entro 30 giorni da tale proposta, esclusa ogni ulteriore interlocuzione o proposta di modifica.

Quanto sin qui declinato potrebbe essere applicato per analogia all’AIA, in cui le amministrazioni, chiamate a deliberare su una specifica autorizzazione possono, a valle di una compiuta istruttoria, dando applicazione ai principi unionali in materia ambientale, utilizzare la propria discrezionalità nel rilascio dell’autorizzazione; dispiegandola in modo da condurre alla formulazione di prescrizioni o condizioni da ottemperare che, adeguatamente temperate, possono non solo avere funzione deflattiva del dissenso ma rispondono anche a principi di economicità ed efficienza.

Non a caso l’etimologia stessa della parola prescrizione (dal latino pre = avanti e scribere = scrivere ovvero ordinare per scritto) richiama un giudizio anteriore che, ordinando una specifica condotta all’operatore economico, ne legittima l’attività incardinandone le modalità.

Ed è proprio con riferimento alla normativa IPPC, il TAR Puglia, Bari, nella sentenza 1387/2021 ha evidenziato come “dal punto di vista etimologico, il termine “prescrizione” ha origine dal latino “prae-scriptio” (derivato dal verbo “prae-scribĕre”) e indica letteralmente lo scrivere (o imporre) “prae-”, ossia “davanti” o “innanzi” qualcosa a qualcuno, nella sostanza evocando l’atto di porre una norma da parte di chi ne ha autorità al cospetto di chi la deve osservare … Le misure prescrittive dunque indicano propriamente a quali obblighi viene subordinata la validità e l’efficacia dell’autorizzazione, ovverosia quali sono gli obblighi a cui deve adempiere e conformarsi il destinatario dell’atto, affinché possa svolgere legittimamente l’attività assentita”.

Ecco dunque che le prescrizioni, lungi dall’essere un ostacolo, devono essere considerate uno strumento legittimo, efficacie e conforme di economia procedimentale, che deve essere spiegato all’interno di tutti i procedimenti ambientali al fine di una loro più compiuta tutela dell’ambiente.

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Pengue commento sentenza 15.2022 letto rtaprile2022

Per il testo della sentenza (estratto dal sito di Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato

Sentenza n. 15_2022 Pengue

[i] Si richiama l’articolo di C.Lorenzin, “La valutazione di impatto ambientale tra discrezionalità e principio di precauzione ”, in questa Rivista.27 luglio 2021.