Copertura in amianto del fabbricato: quando può definirsi “rifiuto” e gli obblighi di intervento e bonifica in capo al proprietario dell’immobile

Copertura in amianto del fabbricato: quando può definirsi “rifiuto” e gli obblighi di intervento e bonifica in capo al proprietario dell’immobile

di Elena Felici e Chiara Leonardi

Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 3 febbraio 2022, n. 767 – Omissis (difesa dall’avvocato Ottavio Tesoriere) c. Comune di Crotone (difeso dall’avvocato Alfonso Torchia) – Pres. Poli, Est. Martino.

La copertura di un fabbricato, fino a che non arriva a terra divenendo inutilizzabile, svolge un ruolo di protezione che impedisce di qualificarla come “rifiuto” in senso tecnico; da qui l’impossibilità di configurare, rispetto ad una tale copertura, la fattispecie dell’abbandono o del deposito incontrollato dei rifiuti. Pertanto, fino a che la copertura del fabbricato in questione non è sottratta alla sua funzione originaria e principale, non può definirsi “rifiuto” ai sensi del d.lgs. n. 152 del 2006.

La regola posta dall’art. 12, comma 3, della legge n. 257 del 1992 – secondo cui, per le strutture in amianto degli edifici, “il costo delle operazioni di rimozione è a carico dei proprietari degli immobili” – è riferita ai proprietari, non in quanto detentori degli immobili bensì in quanto titolari del corrispondente diritto reale sui beni inficiati da vizio strutturale, trattandosi di norma che individua il destinatario finale della spesa. 

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Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato ha nuovamente tracciato il confine tra le fattispecie di inquinamento ovvero di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti disciplinate dal D.Lgs. 152/2006 (T.U.A.) e quelle concernenti la cessazione dell’impiego dell’amianto, disciplinate dalla normativa speciale in materia di amianto (L. 27 marzo 1992, n. 257 e D.M. 6 settembre 1994), ed ha precisato i criteri di individuazione dei soggetti onerati dall’obbligo di eseguire gli interventi di rimozione e bonifica dei materiali contenenti amianto presenti sugli immobili, qualora necessari.

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Il contenzioso amministrativo prende avvio dall’impugnazione proposta dalla società Omissis s.p.a. (proprietaria di un immobile) avanti il T.A.R Calabria, nei confronti dell’ordinanza emessa dal Commissario straordinario del Comune di Crotone, con la quale è stato ordinato a tale società e ad Omissis s.r.l. (conduttrice dell’immobile e titolare di un diritto di superficie), in solido, di rimuovere l’amianto degradato dal fabbricato insistente sul fondo di proprietà della Omissis s.p.a.

A supporto della propria impugnazione, Omissis s.p.a. deduceva la “violazione e falsa applicazione del d.m. 6 settembre 1994, in relazione alla l. 27 marzo 1992, n. 257, non essendo la società ricorrente nel possesso dell’immobile”. La ricorrente, infatti, precisava che “il possesso dell’immobile contenente amianto era in capo alla società Omissis s.r.l., in quanto dapprima conduttrice dell’immobile di cui trattasi, in forza di un contratto di locazione e successivamente, titolare anche del diritto di superficie concesso in forza di atto pubblico[i].

Con sentenza in forma semplificata, il T.A.R. Calabria ha respinto il ricorso e condannato la ricorrente alla rifusione delle spese nei confronti del Comune. La sentenza emessa in primo grado, appellata dalla società, ha trovato conferma avanti al Consiglio di Stato.

In primo luogo, il Consiglio di Stato precisa che nel caso in esame vengono in rilievo esclusivamente le norme riguardanti la cessazione dell’impiego dell’amianto, dovendosi ritenere del tutto inconferente la disciplina contenuta nel T.U.A. attinente alla diversa materia dell’abbandono o del deposito incontrollato dei rifiuti.

A questo proposito, la pronuncia in commento riprende quanto già statuito dalla giurisprudenza amministrativa in più occasioni, secondo cui “la copertura di un fabbricato, fino a che non arriva a terra diventando inutilizzabile, svolge un ruolo di protezione che impedisce di qualificarla come ‘rifiuto’ in senso tecnico; da qui l’impossibilità di configurare, rispetto ad una tale copertura, la fattispecie dell’abbandono o del deposito incontrollato di rifiuti. Pertanto, fino a che la copertura del fabbricato in questione non è sottratta alla sua funzione originaria e principale, non può definirsi ‘rifiuto’ ai sensi del d. lgs. n. 152 del 2006” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2020, n. 1759; Cons. Stato, sez. IV, 9 novembre 2019, n. 7665).

Da questo punto di vista, dunque, la decisone commentata sottolinea che, qualora la copertura del fabbricato in amianto non risulti “sottratta alla sua funzione originaria e principale”,  la gestione delle problematiche legate al materiale inquinante è regolata da una normativa speciale, la cui fonte principale è rappresentata dalla L. 27 marzo 1992, n. 257 (“Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”) nonché dal D.M. 6 settembre 1994 (“Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto”).

Tali disposizioni non operano una classificazione dell’amianto di per sé come rifiuto, ma come materiale (solo potenzialmente) pericoloso, e fonte di ben noti rischi sanitari ed ambientali.

Di conseguenza, mentre nei casi di abbandono dei rifiuti si rende necessario individuare di default il responsabile dell’illecito sversamento, nel caso di fabbricati in cui sia presente amianto, non è possibile prescindere dalla preventiva valutazione relativa all’effettiva pericolosità del materiale. Come ricordato dal Consiglio di Stato nella pronuncia in esame, infatti, l’allegato al D.M. 6 settembre 1994 (contenente normative e metodologie tecniche riguardanti, tra l’altro, “il controllo dei materiali contenenti amianto e le procedure per le attività di custodia e manutenzione in strutture edilizie contenenti amianto”), al punto 2 dispone che “la presenza di materiali contenenti amianto in un edificio non comporta di per sé un pericolo per la salute degli occupanti. (…) Se invece il materiale viene danneggiato per interventi di manutenzione o per vandalismo”, o se “il materiale è in cattive condizioni, o se è altamente friabile, le vibrazioni dell’edificio, i movimenti di persone e macchine, le correnti d’aria possono causare il distacco di fibre legate debolmente al resto del materiale”, comportando un concreto pericolo per l’incolumità dei soggetti a stretto contatto con l’immobile danneggiato o degradato, e, di conseguenza, la necessità di intervenire per eliminare detto rischio.

Quanto all’individuazione dei soggetti obbligati alla rimozione e alla bonifica dei materiali contenenti amianto, la pronuncia, in linea con quanto già affermato da altra recente pronuncia del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sez. V, 12 marzo 2020, n. 1759, opera una netta distinzione con riferimento ai diversi obblighi previsti dalla disciplina speciale in materia di amianto.

Ed infatti, ad avviso del Consiglio di Stato, “vanno distinte le diverse tipologie di obblighi imposti dalla normativa di settore”: (i) “gli obblighi di controllo e di manutenzione gravanti su chi attualmente detiene o utilizza il bene; (ii) “gli obblighi di intervento e di bonifica, gravanti sul proprietario”.

In altre parole, poiché “l’amianto diventa pericoloso soltanto a certe condizioni” e ciò implica “la possibile evoluzione della situazione ambientale” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 12 marzo 2020, n. 1759, cit.), gli obblighi di sorveglianza e manutenzione relativi alle strutture contenenti amianto non possono che gravare sul soggetto che ne ha la disponibilità, e quindi sul detentore “attuale”.

Nello stesso senso si è espresso, tra gli altri, il T.A.R. Piemonte, con sentenza 9 maggio 2018, n. 562 (se pure con riferimento a un caso di fallimento e quindi agli obblighi cui è tenuto il curatore fallimentare), secondo il quale l’ordine di rimozione, a fronte di una situazione di pericolo da amianto, deve essere indirizzato al soggetto che ha la disponibilità del bene[ii], indipendentemente dall’accertamento della responsabilità, trattandosi di interventi di messa in sicurezza volti ad evitare un pericolo per la salute pubblica. O ancora, il T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, che con sentenza 12 ottobre 2015, n. 441, ha precisato che nei casi di immobili in cu siano presenti materiali contenenti amianto “non si tratta di individuare il responsabile dell’inquinamento ma di intervenire con urgenza a tutela della salute pubblica, intervento che deve essere posto a carico dell’attuale detentore”.

Diversamente, qualora l’immobile deteriorato per degrado spontaneo o per fatti esterni, finisca per presentare vizi strutturali, a causa della presenza di amianto, gli obblighi di intervento e bonifica (di detti materiali) devono essere posti a carico del proprietario, non tanto perché questi è tenuto all’attuazione del programma di manutenzione e controllo, ma piuttosto perché i costi di eliminazione di detti vizi strutturali non possono che gravare sul titolare del corrispondente diritto reale.

Ad avviso del Consiglio di Stato, infatti, “La regola posta dall’art. 12, comma 3, della legge n. 257 del 1992 – secondo cui, per le strutture in amianto degli edifici, ‘il costo delle operazioni di rimozione è a carico dei proprietari degli immobili’ – è riferita ai proprietari, non in quanto detentori degli immobili bensì in quanto titolari del corrispondente diritto reale sui beni inficiati da vizio strutturale, trattandosi di norma che individua il destinatario finale della spesa”.

In senso pressoché conforme, anche se con riferimento agli obblighi del curatore fallimentare, si richiama la pronuncia del T.A.R. Calabria dell’8 febbraio 2021, n. 261, commentata in questa rivista, che ha individuato in capo al curatore fallimentare gli oneri di conservazione dei beni immobili contenenti amianto, facenti parte della massa fallimentare (intesi come obblighi di mantenimento della loro esistenza fisica ai fini dell’utile liquidazione in ambito concorsuale), ma non anche l’obbligo di “procedere all’eliminazione dei vizi intrinseci degli immobili, assumendosi oneri economici funzionali al miglioramento dei beni” che spetterebbe, invece, al proprietario (o, in mancanza di esso, e a determinate condizioni, alla pubblica amministrazione).

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato.

Cons. Stato n. 767 del 2022

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RGA Online_nota a Cons Stato sez IV 767_2022

Note

[i] Dalla decisione di primo grado e dalla sentenza in commento, peraltro, si evince che il diritto di superficie era stato costituito successivamente alla costruzione dell’immobile e che la proprietà superficiaria dell’immobile in questione non era stata trasferita.

[ii] Tale conclusione risulterebbe essere la naturale conseguenza del presupposto per cui «la messa in sicurezza del sito costituisce una misura di correzione dei danni e rientra pertanto nel genus delle precauzioni, unitamente al principio di precauzione vero e proprio e al principio dell’azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppone affatto l’individuazione dell’eventuale responsabile».