Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: il ravvedimento operoso può evitare la confisca?

Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: il ravvedimento operoso può evitare la confisca?

di Roberto Losengo

Corte di Cassazione, Sez. III – 24 giugno 2021 (dep. 5 agosto 2021), n. 30691 – Pres. Ramacci, Est. Di Stasi – ric. P., I. e A. &S. Srl

La confisca di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. ha una funzione diversa rispetto a quella prevista dall’art. 452 undecies c.p., pertanto le attività di ripristino poste in essere quale ravvedimento operoso non precludono la confisca.

  1. La vicenda processuale ed il ricorso della difesa

La pronuncia in commento ha ad oggetto il ricorso per cassazione presentato dalla difesa degli imputati, gravati dalla contestazione dell’art. 260 D.Lgs. 152/2006 (ora art. 452 quaterdecies c.p.), e della persona giuridica sottoposta all’accertamento del relativo illecito amministrativo ex D.Lgs. 231/2001 avverso la sentenza di patteggiamento resa dal Tribunale di Reggio Calabria, con la quale, pur a fronte del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 452 decies c.p., veniva applicata la confisca dei beni in sequestro, di proprietà della società “imputata”.

La difesa lamentava in particolare che il Tribunale di Reggio Calabria, nel pronunciare la sentenza di applicazione pena, avesse rigettato l’istanza di restituzione dei beni cautelari, ravvisando l’inapplicabilità della previsione di cui all’art. 452 undecies, comma 4 c.p., in forza della quale “l’istituto della confisca non trova applicazione nell’ipotesi in cui l’imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza e, ove necessario, alle attività di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi”.

Rilevava, in senso ostativo, il Tribunale reggino che tale disposizione trova, nel testo del codice, esclusiva applicazione con riferimento alle fattispecie indicati al comma 1, ovvero l’art. 452 bis c.p. (inquinamento ambientale), 452 quater c.p. (disastro ambientale), 452 septies c.p. (impedimento del controllo), 452 octies c.p. (aggravante dei delitti associativi), mentre essa non contempla espressamente quella dell’art. 260 D.Lgs. 152/2006 né quella, trasfusa nel codice penale nel 2018, dell’art. 452 quaterdecies c.p.

Avverso tale decisione era interposto un articolato ricorso, attraverso il quale si evidenziava, in primo luogo, l’assoluto parallelismo, anche lessicale, dell’istituto della confisca contestualmente introdotto dalla L. 68/2015 sia all’art. 452 undecies c.p. (in relazione ad alcuni dei delitti ambientali di nuovo conio), sia nel corpo dell’art. 260 del Testo Unico Ambientale (“T.U.A.”), figure aventi entrambe ad oggetto le cose che costituiscono il prodotto od il profitto del reato o quelle che servirono a commetterlo.

La circostanza, dunque, che a seguito della traslazione del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti nel corpo del Titolo VI bis del codice penale (per effetto del D.Lgs. 21/2008 sulla “riserva di codice”) il legislatore non avesse espressamente esteso la previsione premiale di cui all’art. 452 undecies, comma 4 c.p. anche al nuovo art. 452 quaterdecies c.p., appare superabile, secondo l’assunto del ricorso, a livello di interpretazione logico sistematica in bonam partem: si tratterebbe infatti di valorizzare il principio generale che informa l’intera novella del 2015, che riconosce benefici sotto il profilo sanzionatorio laddove l’imputato abbia dato corso a misure ripristinatorie (tanto più se attivate nelle forme del ravvedimento operoso di cui all’art. 452 decies c.p., nella parte in cui si valorizza in chiave premiale l’esecuzione, prima dell’apertura del dibattimento, della messa in sicurezza, della bonifica e, ove possibile, del ripristino dello stato dei luoghi).

Significativa, in tal senso, la circostanza che il reato di cui all’art. 260 T.U.A. fosse ab origine menzionato tra le fattispecie per le quali può appunto applicarsi la circostanza attenuante speciale di cui all’art. 452 decies c.p., ditalchè sarebbe del tutto incongruo escludere l’applicazione della figura premiale di cui all’art. 452 undecies c.p., che rappresenta il corollario del ravvedimento operoso, in chiave di ulteriore controbilanciamento sanzionatorio.

Conclusivamente la difesa, per l’ipotesi in cui il dato letterale circa l’assenza di un espresso riferimento della statuizione premiale di esclusione della confisca fosse stato ritenuto ostativo al riconoscimento della stessa, formulava questione di legittimità costituzionale per contrasto con i principi di cui agli artt. 3, 24 e 27 Cost.

  1. La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione dichiarava inammissibili i ricorsi, rilevando in primo luogo la carenza di interesse degli imputati ad impugnare la confisca (in quanto ritenuti non titolari o gestori dei beni soggetti ad ablazione) e, più in generale, la manifesta infondatezza delle questioni sollevate nel ricorso.

I Giudici di legittimità, in tal senso, valorizzavano in primo luogo il dato testuale della disposizione di favore di cui all’art. 452 undecies, comma 4 c.p., ritenendo che la lettera del legislatore sia da intendersi come tassativa nell’enucleare (al primo comma dell’articolo) le fattispecie che possono beneficiare dell’esclusione della confisca.

Al di là di ciò, la sentenza pone in luce profili di carattere sistematico che sarebbero d’ostacolo al riconoscimento di tale beneficio, ulteriore a quello, incidente sulla misura della pena, di cui all’art. 452 decies, comma 1 c.p.

La prima di tali considerazioni di sistema si rifà al brocardo “ubi lex voluit dixit”: si osserva infatti che, laddove il legislatore ha inteso estendere la portata di una disposizione al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, l’ha espressamente indicato; ditalchè il fatto che l’allora art. 260 D.Lgs. 15/2006 non fosse inserito nel novero delle fattispecie beneficiarie dell’esclusione della confisca deve intendersi come indice (ad avviso delle Corte “evidente”) che “lex noluit”.

 La Corte, inoltre, rileva la diversità di funzione della confisca prevista dall’art. 452 undecies c.p. rispetto a quella contemplata dall’art. 452 quaterdecies c.p.: la prima, infatti, avrebbe una sostanziale portata risarcitoria e ripristinatoria, alla luce della disposizione del comma 3, in forza del quale i beni o proventi della confisca sono messi a disposizione della Pubblica Amministrazione e vincolati all’uso per la bonifica dei luoghi; la seconda, avrebbe invece una pura funzione punitivo – sanzionatoria, in quanto l’art. 452 quaterdecies c.p. non solo non contempla tale vincolo, ma contempla altresì l’imposizione in capo al condannato dell’obbligo di ripristino (di natura anche più ampia della messa in sicurezza o bonifica del sito).

Parimenti, anche il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti avrebbe diversità strutturale, rispetto alle altre figure menzionate dall’art. 452 undecies c.p., in quanto esso contempla anche condotte che possono anche non richiedere attività di bonifica o ripristino dello stato dei luoghi.

Rispetto a quest’ultima considerazione la Corte richiama, nel rigettare la questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorso, il principio espresso nella sentenza della stessa Sez. III, n. 11581 del 7 aprile 2020, laddove si era già affermato che la confisca di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. ha lo scopo, sia a fini sanzionatori che special preventivi, di sottrarre al condannato i beni utilizzati per commettere il reato, onde evitarne la ripetizione e dissuadere dalla futura commissione dei reati stessi; ditalchè la scelta in punto sanzionatorio, rimessa alla discrezionalità del legislatore, di non includere tale fattispecie tra quelle che beneficiano dell’istituto premiale di esclusione della confisca non appare esercitata in modo irragionevole.

  1. Ulteriori osservazioni sistematiche (anche di segno contrario)

La decisione della Corte di Cassazione, per quanto argomentata con richiami ineccepibili sotto il profilo testuale (indubbio che l’art. 452 quaterdecies c.p. non sia “iscritto” nel novero dei reati di cui all’art. 452 undecies. comma 1 c.p., che sono poi richiamati per relationem dalla disposizione di favore del comma 4), ma lascia numerose perplessità circa la tenuta dei profili sistematici che precluderebbero ineluttabilmente a quella interpretazione in bonam partem richiesta dalla difesa.

In primo luogo, va osservato che il ricorso coglieva indubbiamente nel segno dove sottolineava l’impostazione portante della L. 68/2015, ove si rinviene un continuo bilanciamento tra disposizioni sanzionatorie e premiali, con un chiaro favore verso le condotte ripristinatorie ad iniziativa dei soggetti imputati (o delle persone giuridiche a cui la loro attività era riferibile), volte a sgravare la collettività degli oneri connessi ad attività di bonifica che, in assenza di iniziative poste in essere dai soggetti responsabili o di incapienza dei loro beni eventualmente sottoponibili a confisca per equivalente, devono essere sostenute con risorse pubbliche.

Sotto tale profilo, dunque, è indubbio che escludere tout court uno dei principali benefici introdotti dalla novella (e, probabilmente, l’unico che afferisce direttamente l’interesse delle persone giuridiche coinvolte nei procedimenti, essendo la mitigazione sanzionatoria di cui all’art. 452 decies c.p. limitata all’ambito individuale) non può che frustrare l’obiettivo della riforma.

Qualora, infatti, il ravvedimento operoso non possa condurre (pur a fronte del positivo accertamento di una condotta virtuosa ex post) al beneficio della salvaguardia del bene ablato, le persone giuridiche – ovvero gli unici soggetti che, di fatto, hanno le capacità di porre in essere interventi onerosi come quelli di messa in sicurezza, bonifica, o ripristino – vedranno venir meno l’essenziale incentivo a tale condotta.

Se dunque, come si ritiene, uno degli obiettivi essenziali della L. 68/2015 era quello di favorire, anche attraverso il riconoscimento di benefici premiali, il ripristino dei siti interessati da condotte illecite (il che, come si dirà nel prosieguo, ben può correlarsi agli effetti del reato in commento), dovrebbe suggerirsi come preferibile un’interpretazione volta a dare la massima estensione a tale principio.

Né pare che a ciò possano ostare gli ulteriori aspetti sistematici indicati dalla sentenza, a partire dalla pretesa diversità strutturale della fattispecie di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. rispetto a quelle contemplate dall’art. 452 undecies, comma 1 c.p; diversità che, come detto, consisterebbe nel fatto che la fattispecie di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti “contempla anche condotte che possono anche non richiedere attività di bonifica o ripristino dello stato dei luoghi”.

Se ciò è vero in linea di principio, è tuttavia sufficiente un rapido sguardo alla casistica della fattispecie sanzionatoria in esame per dare atto che il reato può comportare (e di fatto frequentemente comporta) un concreto pregiudizio per le matrici ambientali, in termini di abbandono o, comunque, irregolare smaltimento di rifiuti, con conseguente compromissione dei siti di destinazione.[1]

E del resto, se così non fosse, nemmeno si comprenderebbe la ratio dell’inserimento del reato nel novero di quelli per cui i soggetti individuali possono fruire dell’attenuante speciale di cui all’art. 452 decies c.p.: il che, peraltro, potrebbe offrire una lettura piuttosto agevole circa il possibile ambito di applicazione della disposizione premiale in esame anche al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, ritenendo praticabile l’estensione della stessa a tutti i casi in cui, effettivamente ed in concreto, la condotta illecita abbia generato un pregiudizio alle matrici ambientali e tale pregiudizio sia stato “rimediato” ad iniziativa della parte.

Tale argomentazione appare oggettivamente idonea a superare il preteso profilo di difformità strutturale, che peraltro non è evidentemente calzante rispetto a tutte le fattispecie contemplate nell’art. 452 undecies. comma 1 c.p.: se è infatti, palese, che i delitti di inquinamento ambientale e disastro ambientale sono essenzialmente reati d’evento che, per definizione, possono implicare interventi di bonifica o ripristino dello stato dei luoghi, lo stesso certamente non vale per un’ipotesi di mera condotta, come quella di impedito controllo ex art. 452 septies c.p., o per quella dell’art. 452 octies c.p. (che, invero, non delinea nemmeno un reato, ma una circostanza aggravante di reati associativi, che – considerati in via indipendente dai relativi reati fine – non sono in sé forieri di un danno ambientale).

Sotto un ulteriore profilo, non appare condivisibile la prospettata diversità di funzione della confisca, per il sol fatto che il comma 3 dell’art. 452 undecies c.p. prevede la destinazione vincolata all’uso di bonifica dei proventi della confisca, il che – ad avviso della sentenza – configurerebbe la misura ablativa contemplata dal Titolo VI bis come istituto a carattere risarcitorio-ripristinatorio.

Occorre tuttavia osservare che, se tale carattere è effettivamente rinvenibile nella previsione del comma 3, esso non può certamente considerarsi esaustivo, ma al più complementare rispetto ad una funzione special preventiva e sanzionatoria che non è certo propria della sola previsione dell’art. 452 quaterdecies c.p., ma indubbiamente impronta anche la confisca dell’art. 452 undecies c.p.

Sul punto, è in primo luogo evidente che la medesimezza testuale delle disposizioni ablatorie (non a caso entrambe introdotte dalla stessa L. 68/2015) determina anche in capo alla confisca di cui all’art. 452 undecies c.p. le stesse finalità afflittive e preventive richiamate dalla Corte di Cassazione nella sentenza in esame ed in quella del 2020 ivi citata, cioè quella di sottrarre al condannato il profitto del reato od i beni utilizzati per commetterlo.

La circostanza, poi, che la confisca sia delineata dal legislatore come obbligatoria (anziché col carattere facoltativo tipico della misura di sicurezza patrimoniale ex art. 240 c.p.), definitiva e senza vincolo di proporzionalità del valore del bene ablato rispetto alla gravità del reato commesso, ne accentua ancora di più l’impronta afflittiva, che trova il proprio apice nella previsione – indubbiamente sanzionatoria – della confisca per equivalente (comma 2).

Al di là del dato testuale, è proprio la natura intrinseca della confisca ambientale (rectius, delle confische ambientali) che ne delinea la chiara vocazione sanzionatoria, espressione del principio eurounitario “chi inquina paga”, che può combinarsi in termini multiformi con le compresenti esigenze di natura preventiva, risarcitoria e ripristinatoria, senza che una di tali funzioni abbia capacità di escludere recisamente la sussistenza delle altre.

Per tale motivo, dunque, non appare decisivo nemmeno l’argomento che l’art. 452 quaterdecies c.p. prevede, nel testo, l’obbligo di ripristino; al di là della lieve divergenza testuale frutto della diversa epoca di promulgazione (e della scarsa propensione all’uniformazione del legislatore), è del tutto evidente che tale disposizione va in parallelo con quella che ha trovato collocazione generale nel Titolo VI bis (art. 452 duodecies c.p.); cosiccome è del tutto pacifico che tale ulteriore disposizione sanzionatoria non ha ragione di essere applicata (né è stata applicata nel caso di specie) laddove l’imputato abbia già provveduto alle attività ripristinatorie, eventualmente fruendo dell’attenuante del ravvedimento operoso se la reintegrazione ex post è avvenuta prima dell’apertura del dibattimento.

Alla luce delle considerazioni esposte, ci si chiede dunque se l’omessa indicazione dell’art. 452 quaterdecies c.p. tra le fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 452 undecies c.p. debba effettivamente ricondursi ad una deliberata esclusione del legislatore o sia solo l’ennesimo indice dei difetti di coordinamento che caratterizzano la riforma del 2015.

Basti ad esempio rammentare, per fare un esempio rilevante rispetto all’ambito di cui si tratta, che la disposizione relativa al ravvedimento operoso non trova un raccordo con la disciplina del D.Lgs. 231/2001, che pure è stata implementata dalla L. 68/2015 con l’introduzione dei nuovi delitti ambientali quali reati presupposto, con il paradosso che le persone giuridiche “imputate” (che, come detto, sono di fatto i soggetti che hanno le capacità economiche per porre in essere gli interventi di bonifica e ripristino) non possono godere della circostanza attenuante speciale che, solo per le persone fisiche, è contemplata dall’art. 452 decies c.p.

Cosiccome, per le ragioni sopra esposte, la “disapplicazione” della previsione dell’art. 452 undecies, comma 4 c.p. al reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., frustra l’incentivo alla reintegrazione ambientale (per i casi in cui il pregiudizio si sia manifestato) proprio in capo ai quei soggetti sovraindividuali che, di fatto, avrebbero il concreto vantaggio dall’esecuzione dell’intervento, al fine di ottenere la restituzione dei beni aziendali (impianti operativi o siti) sottoposti alla misura ablatoria.

Soluzione che appare effettivamente di dubbia ragionevolezza, soprattutto ove si consideri che la fattispecie in questione può riguardare (e di fatto riguarda nella grande maggioranza dei casi) società operanti al di fuori di circuiti di criminalità organizzata, che abbiano tuttavia agito in difformità dall’autorizzazione, rispetto alle quali la sottrazione in  via definitiva di beni necessari all’esercizio dell’attività aziendale (e non pericolosi in sé) appare eccessivamente carica di contenuti afflittivi, laddove il soggetto trasgressore – come nel caso di specie – abbia dimostrato fattivamente, attraverso il ravvedimento operoso la propria volontà di porre rimedio al pregiudizio arrecato.

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losengo – ottobre 2021 – 452 quaterdecies confisca ott21

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Cass. pen. 30691_2021 (losengo)

Note:

[1] Anzi, il dato statistico circa l’applicazione della L. 68/2015 rende evidente che le Procure della Repubblica prediligono la contestazione del reato ex all’art. 452 quaterdecies c.p. rispetto alle ipotesi di inquinamento ex art. 452 bis c.p. (con grande probabilità, attesa l’incerta tecnica redazionale di tale fattispecie, che ne rende ben più gravosa la configurabilità, rispetto all’attuale ed ampia interpretazione della fattispecie di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, ormai slegata dall’originario carattere di norma a contrasto del fenomeno della c.d. ecomafia).