Oblazione amministrativa ambientale e non obbligatorietà della prescrizione dell’organo accertatore

Oblazione amministrativa ambientale e non obbligatorietà della prescrizione dell’organo accertatore

di Roberta Mantegazza 

Corte di Cassazione, Sez. III – 8 aprile 2021 (dep. 20 maggio 2021) n. 19986 – Pres. Sarno, Est. Di Stasi – ric. Antoniazzi

Gli art. 318 bis e ss. D.Lgs. n. 152/06 non stabiliscono che l’organo di vigilanza o la polizia giudiziaria impartiscano obbligatoriamente una prescrizione per consentire al contravventore l’estinzione del reato e l’eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non comporta l’improcedibilità dell’azione penale

  1. La vicenda processuale e la decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione è tornata ancora una volta, nel giro di poco tempo, ad occuparsi della procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali regolata dalla Parte VI bis (artt. 318 bis e ss) del D.Lgs. n. 152/2006, che in effetti – dalla sua introduzione nel 2015 – ha posto e continua a porre dubbi interpretativi di non poco momento[1].

Il punto dibattuto in questo ultimo arresto è quello (già affrontato nel recente passato)[2] della obbligatorietà o meno della procedura estintiva, che – lo si ricorda – consente di “eliminare” le contravvenzioni previste dal D.Lgs. n. 152/2006, che non abbiano “cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette”, all’esito del perfezionamento di una procedura bifasica, che fa conseguire alla “regolarizzazione” della violazione (attraverso l’adempimento delle prescrizioni impartite in via amministrativa dall’organo accertatore), l’ammissione del contravventore al pagamento di una sanzione pari ad un quarto del massimo dell’ammenda prevista dalla legge.

Detta altrimenti e per semplificare, la Suprema Corte ha cercato di dirimere un nodo interpretativo importante: se a fronte dell’accertamento di una contravvenzione contenuta nel T.U.A., ed in presenza dei requisiti previsti dal testo normativo, sorga in capo all’organo accertatore l’obbligo di attivare la procedura estintiva “premiale” nei confronti del contravventore; e, se di obbligatorietà si può parlare,  con quali conseguenze in termini di procedibilità dell’azione penale nel caso di mancata formulazione delle relative prescrizioni.

Nel caso di specie, il ricorrente – che era stato condannato dal Tribunale di primo grado per il reato di cui all’art. 29 quattuordecies comma 3 lett. a) T.U.A. per non aver rispettato le prescrizioni A.I.A. in materia di scarico di acque reflue in relazione al parametro Boro – si lamentava proprio della (immotivata) omessa attivazione della procedura da parte di ARPAV, che a seguito dell’accertamento della violazione non aveva dettato alcuna “prescrizione” nei confronti del ricorrente, pur (si deve presumere) in presenza di tutti i requisiti previsti dalla parte Sesta bis del T.U.A.

Nell’ottica difensiva, ciò avrebbe dovuto indurre il Tribunale a dichiarare la non rilevanza penale della condotta e trasmettere gli atti alla autorità amministrativa per l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 318 quater comma 2 D.Lgs. n. 152/2006.

La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo di ricorso “manifestamente infondato” sulla base del “condivisibile orientamento” della giurisprudenza di legittimità già formatasi sul punto, per il quale “tale procedura non è affatto obbligatoria” e “l’omessa indicazione, da parte dell’organo di vigilanza, delle prescrizioni di regolarizzazione non è causa di improcedibilità dell’azione penale”.

La decisione è fondata in buona sostanza sulla consolidata giurisprudenza in materia prevenzionistica, ampliamente richiamata nella motivazione, che opera infatti importanti “innesti” interpretativi da quella che la stessa Corte descrive come “l’omologa procedura prevista dalla normativa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, di cui agli artt. 20 e ss. del D.Lgs. n. 758 del 1994”, di cui la procedura ambientale condivide il “meccanismo” e “ne segue [pertanto] l’interpretazione”.

Al pari di quanto accade nel parallelo fronte “lavoristico”, la procedura estintiva dettata dal T.U.A., quindi, “si pone, sostanzialmente, come un’alternativa all’oblazione, più vantaggiosa, almeno per quanto riguarda gli importi da versare” e questo anche se “il sistema delle prescrizioni, rispetto alle norme gemelle del D.Lgs. n. 758/1994, presenta (…) alcuni adattamenti, evidentemente giustificati dalla particolarità della materia”.

Si tratta di capire, dunque, se e in che termini, l’evoluzione giurisprudenziale elaborata per il settore prevenzionistico possa ritenersi in effetti applicabile anche a quello ambientale in relazione al profilo specifico della non obbligatorietà della procedura estintiva: fondamentale, pertanto, comprendere le ragioni che ne hanno fondato l’affermazione in relazione al D.Lgs. n. 758/1994.

  1. Tra obbligatorietà della procedura estintiva ed obbligatorietà della prescrizione prevenzionistica: la lettura costituzionalmente orientata della Corte Costituzionale

In origine, la Suprema Corte – nel ritenerla obbligatoria – aveva ripetutamente “incasellato” la procedura estintiva speciale in materia di contravvenzioni “lavoristiche” nell’alveo delle condizioni di procedibilità dell’azione penale; più precisamente, aveva correlato tale “condizionamento” “all’effettivo ed esatto verificarsi, in tutti i suoi passaggi, della procedura amministrativa prevista dalle disposizioni in esame”[3], che costituiva – al contempo – l’unico (e ristretto) oggetto di controllo concesso al giudice[4], al quale era invece precluso l’esercizio di qualsivoglia “potere sostitutivo” rispetto all’inerzia dell’organo accertatore.

L’impossibilità di poter rimediare in sede penale all’omessa attivazione amministrativa della procedura estintiva determinava – secondo il risalente orientamento appena richiamato – un pregiudizio in capo al contravventore, eliminabile solo attraverso l’automatico arresto dell’incedere processuale a seguito della verifica, da parte del giudice, dell’assenza della condizione di procedibilità dell’azione penale.

Come rilevato dalla successiva giurisprudenza[5], però, gli effetti distorsivi di tale lettura sono, col tempo, risultati evidenti: si è assistito al verificarsi di “situazioni di irrimediabile [ed ingiustificata] paralisi dell’azione penale (….), in tutti i casi in cui nessuna prescrizione di regolarizzazione poteva essere data dall’organo di vigilanza (…), con il conseguente non manifesto dubbio di legittimità costituzionale di un tale assetto normativo per violazione dell’art. 112 Cost.”[6].

Sulla base di “una rimeditazione del complessivo quadro normativo di riferimento[7], la giurisprudenza è così giunta ad affermare che la procedura di cui trattasi può essere intesa quale condizione di procedibilità solo nella misura in cui sia effettivamente attivata, connotandosi – a seguito della sospensione del procedimento penale – come “parentesi finalizzata alla regolarizzazione della violazione e all’eventuale oblazione del reato”; ma ciò non comporta in alcun modo l’obbligo, in capo all’organo accertatore di dettare la prescrizione, che rimane invece libero nella propria valutazione di prevedere specifiche modalità di regolarizzazione.

Si afferma, infatti, che proprio la “regolarizzazione” cui il contravventore è chiamato su input dell’autorità amministrativa costituisca un quid pluris rispetto alla mera eliminazione o non reiterazione della condotta penalmente rilevante[8], che è espressione del semplice adeguamento alla prescrizione di legge, cui il contravventore è comunque chiamato; eccolo, quindi, quell’adempimento ulteriore che giustifica – sotto il profilo premiale, oltre che deflativo – la riduzione della misura dell’oblazione amministrativa, rispetto a quella prevista dall’art. 162 bis c.p.

Non è detto, però, che tale “regolarizzazione”, intesa come particolare modalità di adempimento alla previsione di legge attraverso l’individuazione di prescrizioni di dettaglio da parte dell’autorità amministrativa, sia in concreto una strada sempre percorribile; è possibile, per esempio, che “secondo una valutazione rimessa all’organo di vigilanza, condizionata dalle particolarità del caso concreto[9], non ci siano misure specifiche da impartire[10], oppure che il contravventore abbia già, in autonomia, adempiuto agli obblighi di legge prima della emanazione di una prescrizione. Questo, con più di qualche dubbio in termini di tenuta del sistema, in relazione al principio di uguaglianza costituzionalmente tutelato, rispetto al contravventore che non avendo “ricevuto” la prescrizione non può beneficiare dell’oblazione nella misura agevolata.

Sul punto, ancor prima che nel 2004 il legislatore intervenisse prevedendo espressamente l’applicabilità della procedura di cui trattasi alle cd. condotte esaurite[11], la Corte Costituzionale con la sentenza n. 19 del 12 febbraio 1998, si era espressa sulla legittimità costituzionale dell’art. 24 comma 1 D.Lgs. n. 758/1994 in relazione all’art. 3 Cost. sancendo che, nei casi accennati, “ove fosse effettivamente preclusa la possibilità di definizione amministrativa dell’illecito, si determinerebbe indubbiamente una irragionevole e deteriore disparità di trattamento nei confronti del contravventore che abbia spontaneamente regolarizzato la violazione in tema di igiene e sicurezza del lavoro prima dell’intervento dell’organo di vigilanza, ovvero quando tale organo, pur essendo intervenuto non abbia impartito la formale prescrizione ad adempiere[12].

Tuttavia, prosegue la Corte, “tale disparità, che sarebbe certamente rilevante sotto il profilo del divieto costituzionale di disciplinare in modo diverso situazioni analoghe, verrebbe meno ove la disciplina consentisse una soluzione interpretativa tale da superare la denunciata violazione dell’art. 3 della Costituzione[13].

Per far ciò, la Consulta ha offerto un’interpretazione analogica dell’art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 758/1994, che regola una delle “due situazioni anomale rispetto al procedimento tipico descritto dagli articoli 20 e ss.”[14] e che prevede che l’adempimento della prescrizione da parte del contravventore oltre il termine fissato dall’organo accertatore e la regolarizzazione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo stesso siano valutate ai sensi dell’art. 162 bis c.p., con applicazione però – in caso di giudizio favorevole – della misura agevolata del quarto del massimo della contravvenzione.

Sulla base di tale dettato normativo, la Corte ha ritenuto che “non sussista alcun ostacolo ad una interpretazione sistematica e teleologica capace di ridurre le due situazioni oggetto della presente causa [id est, la spontanea regolarizzazione o l’omessa indicazione della prescrizione da parte dell’organo accertatore] nell’alveo della procedura volta ad ammettere il contravventore, sostanzialmente adempiente, alla definizione in via amministrativa e alla conseguente estinzione del reato[15].

In sostanza, quindi, per tirare le fila del discorso in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, il rischio che l’affermazione della non obbligatorietà della prescrizione possa condurre a violazioni del dettato costituzionale nel caso di trattamento difforme e deteriore di casi equipollenti è stato pacificamente superato dalla Corte Costituzionale con l’applicazione analogica dell’art. 24 comma 3 D.Lgs n. 758/1994 anche al contravventore sostanzialmente adempiente, pur a fronte della mancata attivazione della procedura amministrativa da parte dell’organo accertatore.

  1. Cenni conclusivi sulla procedura estintiva in materia ambientale: quale lettura costituzionalmente conforme?

Parrebbe del tutto ragionevole poter applicare anche alla materia ambientale la conclusione cui è pervenuta la Corte Costituzionale in merito alla compatibilità del precetto normativo con il principio di ragionevolezza di cui è espressione l’art. 3 Cost., pur nella parziale diversità dei procedimenti[16] amministrativi in parola.

Ed in effetti, anche di recente, la Corte di Cassazione ha espressamente richiamato la sentenza costituzionale n. 19 del 1998, affermando che “le conclusioni che si raggiungono in forza dell’analisi condotta sulla normativa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro (art. 15, comma 3, del d.lgs. n. 124 del 2004 e artt. 20 e ss del d.lgs. n. 758 del 1994) devono automaticamente estendersi alla procedura di cui all’art. 318 bis e ss del d.lgs. n. 152 del 2006. La procedura di estinzione prevista dal testo unico sull’ambiente è, infatti, costruita sul medesimo meccanismo previsto dalla normativa di cui al d.lgs. n. 758 del 1994, e, dunque (…) ne segue l’interpretazione[17].

Da questa premessa, attraverso il richiamo dei più recenti orientamenti, si è giunti a sostenere che “la  procedura estintiva delle contravvenzioni in materia ambientale (…) è applicabile anche nel caso in cui, previo accertamento dell’assenza di danno o pericolo concreto di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette, l’autorità amministrativa di vigilanza competente non abbia impartito prescrizioni per regolarizzare la situazione di fatto che integra la contravvenzione accertata[18], così bilanciando – sul piano sostanziale – la sancita non obbligatorietà della procedura estintiva.

In altri termini, in questi casi, si afferma che poiché la prescrizione dell’organo accertatore non è obbligatoria, l’azione penale è certamente procedibile ed il Pubblico Ministero la può esercitare, ma il contravventore è legittimato comunque a proporre istanza di oblazione “speciale”[19], a prescindere dalla attivazione della procedura da parte dell’organo accertatore[20], proprio attraverso quella interpretazione estensiva che la Corte Costituzionale aveva fatto dell’art. 24 comma 3 D.lgs. n. 758/1994.

L’assunto cui si perviene sarebbe in astratto del tutto condivisibile, se non si scontrasse con una piccola, ma essenziale, differenza del dato normativo della procedura estintiva ambientale rispetto a quella omologa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, che potrebbe rimettere in discussione l’intera ricostruzione fornita dalla Consulta, così come l’esito di compatibilità costituzionale cui la stessa è pervenuta in materia prevenzionistica.

Nell’attuale assetto della Parte Sesta bis, infatti, manca una norma che consenta l’applicazione dell’oblazione nella misura agevolata al di fuori del caso “standard” disciplinato dal comma 1 dell’art. 318 septies T.U.A, ossia quello dell’adempimento del contravventore alla prescrizione effettivamente impartita dall’organo accertatore.

Ed infatti, i casi “peculiari” per i quali è previsto l’accesso alla procedura estintiva sono regolati dall’art. 318 septies comma 3 T.U.A., che nel prevedere la possibilità di valutare ai sensi dell’art. 162 bis c.p. l’adempimento tardivo o con modalità diverse da quelle impartite (come previsto dalla omologa previsione lavoristica), esclude, però, che possa essere applicata l’oblazione in misura agevolata (come invece previsto dall’art. 24 comma 3 D.Lgs n. 758/1994) in luogo di quella “classica”, pari alla metà del massimo dell’ammenda.

Ma proprio la possibilità di applicare analogicamente (ai sensi dell’art. 24 comma 3 D.Lgs. n. 758/1994) l’oblazione nella misura agevolata anche al di là dei limiti normativi e delle casistiche descritte dalla norma aveva consentito di “salvare” – attraverso la sua lettura costituzionalmente conforme – l’art. 24 comma 1 dal giudizio di illegittimità, censurato nella parte in cui non prevedeva l’ammissione alla definizione in via amministrativa del contravventore che “avendo colto autonomamente il disvalore della propria condotta, volontariamente determina la cessazione della situazione illecita, senza esservi indotto dall’ingiunzione dell’organo di vigilanza[21].

Si dovrebbe concludere che la descritta (diversa) formulazione dell’art. 318 septies comma 3 T.U.A. non consente di configurare, in materia ambientale, alcuna interpretazione analogica equiparabile a quella sopra descritta, con la conseguenza che l’accesso all’oblazione agevolata prevista (solo) dal comma 1 dell’art. 318 septies T.U.A. non può, allo stato, essere esteso ai casi peculiari, in cui il contravventore abbia regolarizzato l’illecito in assenza di una prescrizione da parte dell’organo deputato.

Formulazione, quella dell’art. 318 septies comma 3 T.U.A., che è stata peraltro oggetto di un recente vaglio della Corte Costituzionale[22], cui è conseguito il rigetto della questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all’art. 3 Cost., formulata sulla base “dell’ingiustificata disciplina differenziata quanto all’oblazione” rispetto alla disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Per come posta, la Corte ha avuto gioco facile nell’escludere profili di incostituzionalità, limitandosi a ricordare che la diversità dei beni giuridici coinvolti (salvaguardia dell’ambiente e sicurezza dei lavoratori) è sufficiente a giustificare la scelta, del tutto legittima, del legislatore di apprestarne una tutela diversa.

Se sotto tale profilo, la diversa quantificazione della misura dell’oblazione, prevista dall’art. 318 septies comma 3 T.U.A., rispetto alla omologa in materia anti-infortunistica, risulta condivisibilmente del tutto legittima, d’altro canto, non giova alla tenuta del sistema normativo nel suo complesso, che rischia di essere messo in crisi rispetto al principio di uguaglianza; vien da sé, infatti,  che non consentendo – come visto – un’interpretazione estensiva della disciplina di favore ai casi peculiari, di fatto non può prevenire trattamenti difformi (oblazione nella misura agevolata di un quarto piuttosto che in quella “standard” della metà) di situazioni tra loro (come sancito dalla stessa Corte Costituzionale)[23] del tutto equiparabili (eliminazione dell’illecito in presenza o meno della prescrizione impartita dall’organo di vigilanza).

Con la conseguenza che non risulta duplicabile in materia ambientale quanto verificato in relazione all’igiene e sicurezza sul lavoro: alla premessa per la quale l’organo di vigilanza può legittimamente decidere di non impartire alcuna prescrizione, non si giustappone, la possibilità per il contravventore di perseguire in ogni caso il “risultato migliore” (l’oblazione in misura agevolata) a prescindere dalla effettiva attivazione della procedura e dalla discrezionale indicazione di una prescrizione da parte dell’organo deputato, con evidenti ripercussioni in materia di uguaglianza e ragionevolezza.

In conclusione, delle due l’una: o si trova, nel sistema, un’altra norma cui “agganciare” la lettura costituzionalmente conforme dell’art. 318 septies comma 1 T.U.A., che consenta di estende – nei termini sopra descritti – le tipologie di situazioni cui applicare le agevolazioni previste dalla parte Sesta bis T.U.A., oppure la Corte Costituzionale potrebbe essere, presto, nuovamente chiamata ad esprimersi sulla sua legittimità costituzionale, in relazione all’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede che “la contravvenzione si estingue [solo] se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall’articolo 318 quater comma 2”.

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Mantegazza_luglio 2021

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Cass. III, 19986_2021 (Mantegazza)

Note:

[1] Per una panoramica delle tematiche, cfr., C. Ruga Riva, I nuovi ecoreati. Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Torino, 2015; S. Carollo, La disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale: luci e ombre del nuovo procedimento estintivo delle contravvenzioni del t.u.a., in A. Manna (a cura di), Il nuovo diritto penale ambientale, 2016; M. Telesca, Osservazioni sulla l. n. 68/2015 recante “disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”: ovvero i chiaroscuri di una agognata riforma, in Dir. pen. cont., 17 luglio 2015; M. Santoloci, La legge sui delitti ambientali un Giano bifronte: nella prima parte aggrava e nella seconda parte (di fatto) estingue i reati ambientali, in www.dirittoambiente.net, 17 marzo 2014; A. Martufi, La “diversione” ambientale tra esigenze deflattive e nuove tensioni sistemiche, in Dir. pen. cont., n. 1, 2018, p. 293 ss.; P. Fimiani, Gli aspetti problematici nel sistema di estinzione dei reati ambientali previsto dal titolo VI-bis del T.U.A., in Lexambiente Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Ambiente, n. 4, 2019, p. 22 ss.

[2] Corte Cass. pen., Sez. III, 27 novembre 2019 (dep. 24 febbraio 2020), n. 7220, con commento in questa rivista di G. Ripa, Sulla obbligatorietà delle prescrizioni della procedura estintiva ex art. 318 ter D.Lgs 152/2006.

[3] Corte Cass. pen., Sez. III, 6 giugno 2007, n. 34900

[4] Corte Cass. pen., Sez. III, 1° ottobre 1998, n. 13340, in Cass. CED n. 21248401.

[5] Corte Cass. pen., Sez. III, 5 maggio 2010 (dep. 12 luglio 2010), n. 26758, in Cass CED n. 248097-01.

[6] Ibidem, p. 3: “l’ipotesi più evidente è quella del datore di lavoro che non sia più tale per cessazione dell’azienda”.

[7] Ibidem, p. 4.

[8] Ampiamente dibattuta, anche in materia ambientale, è la compatibilità della procedura estintiva di cui trattasi con i reati istantanei o a condotta esaurita; in senso contrario, cfr., A. Martufi, cit., p. 299.

[9] Corte Cass. pen., Sez. III, 5 maggio 2010, cit., p. 8.

[10] È appunto il caso delle c.d. “condotte esaurite”; v. G. Amendola, Contravvenzioni ambientali a condotta esaurita e procedura estintiva della legge 68/2015, in www.lexambiente.it, 16 febbraio 2018; in senso critico, v. anche A. Martufi, cit., p. 299, secondo il quale – in materia ambientale – non è possibile beneficiare dell’impunità senza pretendere dal reo un comportamento ripristinatorio, che dovrebbe essere invece la funzione principale del sistema estintivo delineato dalla Parte Sesta-bis del T.U.A.; una simile interpretazione si porrebbe in contrasto anche con il “complessivo disegno di riforma, il quale subordina l’effetto estintivo a un comportamento dell’autore del reato che sia intervenuto per rimuovere “modificazioni o alterazioni materiali”, anche solo parzialmente pregiudizievoli per l’ambiente”.

[11] Si tratta del D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124 (recante “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro”), che all’art. 15 prevede: “Prescrizione obbligatoria. 1. Con riferimento alle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro, qualora il personale ispettivo rilevi violazioni di carattere penale, punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda ovvero con la sola ammenda, impartisce al contravventore una apposita prescrizione obbligatoria ai sensi degli articoli 20 e 21 del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, e per gli effetti degli articoli 23 e 24 e 25, comma 1, dello stesso decreto; 2. L’articolo 22 del citato decreto legislativo n. 758 del 1994, trova applicazione anche nelle ipotesi di cui al comma 1; 3. La procedura di cui al presente articolo si applica anche nelle ipotesi in cui la fattispecie è a condotta esaurita, ovvero nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all’emanazione della prescrizione”.

[12] Corte Cost., n. 19 del 12 febbraio 1998, p. 3.

[13] Ibidem.

[14]  L’altra, secondo la Corte, è quella prevista all’art. 22 D.Lgs. n. 758/1994 (“notizie di reato non pervenute dall’organo di vigilanza”), nella quale è il Pubblico Ministero ad aver acquisito autonomamente la notizia di reato oppure ad averla ricevuta da privati o da soggetti pubblici diversi dall’organo di vigilanza: in tali casi il P.M. ne dà immediata comunicazione a quest’ultimo per le determinazioni inerenti le prescrizioni necessarie per eliminare la contravvenzione.

[15] Corte Cost., cit., p. 4

[16] In dottrina sono state ampiamente affrontate le “divergenze” normative (e di “ratio”) esistenti tra la procedura estintiva ambientale rispetto a quella in materia anti-infortunistica; cfr. M. C. Amoroso, La nuova procedura estintiva dei reati contravvenzionali previsti dal D.Lgs. n. 152/2006. Quali direttive per gli organi accertatori?, in Dir. pen. cont., 5 novembre 2015, p. 2; A. Martufi, La “diversione” ambientale tra esigenze deflattive e nuove tensioni sistemiche, in Diritto Penale Contemporaneo, fasc. n. 1, 2018, p. 29; v. inoltre, C. Ruga Riva, I nuovi ecoreati. Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Torino, 2015; cV. Paone, La prescrizione dei reati ambientali secondo la l. 68/2015: non mancano dubbi interpretativi, in Amb. Svil., 2016, p. 501; G. Del Prete, L’applicabilità della procedura estintiva della parte sesta bis del D.L.vo 152/2006 oltre il termine delle indagini preliminari, in www.tuttoambiente.it, 10 febbraio 2020; G. Leo, Inefficacia retroattiva delle norme sull’oblazione speciale prevista per i reati ambientali: la Consulta giudica costituzionalmente compatibile l’art. 318-octies del T.U. Ambiente, in Sistema Penale, 16 novembre 2020.

[17] Corte Cass. pen., sez. III, 18 aprile 2019 (dep. 26 agosto 2019), n. 36405.

[18] Ibidem, p. 8.

[19] Ovviamente, proprio in applicazione delle regole previste dall’art. 162 bis c.p., dimostrando di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato; rispetto alla compatibilità con la previsione di cui all’art. 318 bis T.U.A., in base alla quale “le disposizioni della presente Parte si applicano alle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal presente decreto che non abbiano cagionato danno o pericolo concreto o attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette”, v. M. C. Amoroso, cit., p. 4.

[20] La cui attivazione – secondo la sentenza in commento – può essere anche “sollecitata” dallo stesso contravventore, ma comunque entro i termini delle indagini preliminari.

[21] Corte Cost., 12 febbraio 1998, n. 19.

[22] Corte Cost., 9 aprile 2019, n. 76.

[23] Sul punto, non si può infatti non ricordare come si era espressa la Corte, stabilendo che “tale disparità, che sarebbe certamente rilevante sotto il profilo del divieto costituzionale di disciplinare in modo diverso situazioni analoghe, verrebbe meno ove la disciplina consentisse una soluzione interpretativa tale da superare la denunciata violazione dell’art. 3 della Costituzione”, cfr., Corte Cost., n. 19 del 12 febbraio 1998.